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La geologia della pianura è particolarmente complessa; vi si possono, infatti, riconoscere diverse Unità idrogeologiche, e strutture (quali dorsali del substrato e paleolavei) la cui descrizione è necessaria per una comprensione adeguata del problema in esame. 
Si ritiene opportuno esporre dapprima la struttura idrogeologica come risulta dagli studi fino ad ora pubblicati, e successivamente lo schema semplificato da essi derviante. In tutti questi studi, sono state proposte classificazioni essenzialmente analoghe, ma di difficile comprensione perché si sono utilizzate denominazioni differenti per indicare le medesime unità.
Pertanto, allo scopo di facilitare la comprensione della letteratura precedente, molto ricca di informazioni ma altrimenti non  utilizzabile, vengono riportate ove possibile le varie denominazioni delle Unità così da agevolare la lettura dei documenti meno recenti.  
Nella tabella 3.1 sono riportate le denominazioni delle diverse Unità secondo gli Autori che hanno trattato l’argomento.

Criteri che presiedono alla scelta delle Unità idrogeologiche della pianura

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Le motivazioni delle diverse denominazioni, ai fini di una migliore comprensione delle documentazioni tecniche e scientifiche, necessitano di una breve descrizione.
Il metodo proposto da Martinis B. e Mazzarella S., elaborato in un’epoca in cui la cartografia geologica di superficie era ancora poco nota, ricostruisce l’età delle Unità sulla base della paleontologia e micropaleontologia più profonde mentre le Unità superiori corrispondono alle Unità fluvioglaciali affioranti nella media e alta pianura lombarda; tra i depositi più recenti e quelli più antichi è riconoscibile un livello discontinuo di sedimenti fini che separa la falda libera da quella semiconfinata sottostante.
Il criterio idrostratigrafico adottato da Francani V. & Pozzi R.1 assume una relazione diretta tra le caratteristiche litologiche e stratigrafiche e le proprietà idrauliche, sulla base della tradizione della cartografia idrogeologica internazionale (Castany,1968, Margat 1962) che consente un approccio pratico alla comprensione della circolazione idrica sotterranea per la soluzione dei  problemi di idrogeologia regionale.
Questo metodo consiste sostanzialmente nel seguire in profondità le Unità geologiche di superficie riportate nelle cartografie geologiche nazionali attraverso i numerosi dati ricavati dalla prospezioni geognostiche e dai pozzi per acqua.
Le denominazioni delle Unità idrogeologiche vengono quindi fatte corrispondere a quelle delle Unità di superficie.

La Suddivisione in Unità idrogeologiche, proposta dallo studio sulle falde profonde della Provincia di Milano curato da Avanzini M., Beretta G.P., Francani V.et Al.2, si basa invece sul riconoscimento di associazioni di litotipi che presentano le seguenti caratteristiche:

  • analoghe condizioni di circolazione idrica sotterranea;
  • rapporti comparabili di alimentazione - deflusso delle falde;
  • disposizione geometricamente conforme rispetto agli altri acquiferi.

Questo criterio essenzialmente idrogeologico mette in relazione le caratteristiche litologico - stratigrafiche con le modalità di circolazione idrica e consente, rispetto ai criteri precedentemente illustrati, una maggiore razionalizzazione del modello stratigrafico del sottosuolo a vantaggio di una maggiore corrispondenza tra i livelli acquiferi e le falde presenti.
I criteri utilizzati da ENI – Divisione  Agip e Regione Lombardia (2002) fanno riferimento ai risultati di un’indagine multidisciplinare, compiuta  utilizzando diverse fonti di dati (stratigrafie di pozzo, linee sismiche e log elettrici); tale indagine propone un modello stratigrafico basato sul riconoscimento e la definizione di 4 Unità idrostratigrafiche, definite informalmente Gruppi Acquiferi A, B, C, D.
Il Gruppo Acquifero D, il più profondo, è costituito da una sequenza in facies negativa, o a granulometria inversamente crescente (Coarsening Upward) di età pleistocenica inferiore, caratterizzata da argilla siltosa e silt con intercalazioni di sabbia fine e finissima in strati sottili alla base, sabbia grigia fine e media nella porzione intermedia, e ghiaia poligenica alternata a sabbia nella parte alta.
La successione sedimentaria è interpretata come un sistema deposizionale di delta - conoide progradante da Nord verso Sud.
Il soprastante Gruppo Acquifero C, attribuito al Pleistocene Medio, è ripartito in due distinti cicli regressivi: il ciclo inferiore è costituito, alla base, da sedimenti marini di piattaforma, rappresentati in prevalenza da argilla siltoso - sabbiosa che passano superiormente a depositi prevalentemente sabbiosi di ambiente transizionale, la parte alta del ciclo è invece rappresentata da depositi continentali di piana alluvionale con sabbia grigia da finissima a media, laminata, alternata ad argilla siltosa e argilla palustre scura, ricca in sostanza organica.
Il ciclo regressivo inferiore è interrotto da una fase trasgressiva che ha coinciso con la deposizione di facies transizionali di un sistema litorale a prevalenti sabbie finissime passanti superiormente ad argille marine di piattaforma.
La porzione basale del ciclo superiore è rappresentata da una sequenza di facies negativa di progradazione di sistemi deltizi (ambiente transizionale), con prevalente sabbia grigia fine e media in strati gradati. Segue una sedimentazione in ambiente continentale di piana alluvionale con sabbia grigia, da finissima a media, alternata ad argilla siltosa ed argilla nerastra.
Nel suo complesso il Gruppo Acquifero C corrisponde ad una fase di progradazione da Ovest verso Est dei sistemi deposizionali padani, la quale determina il rapido colmamento dei bacini profondi a sedimentazione torbiditica, ancora presenti nella parte orientale e Sud - orientale della Lombardia.
La notevole variabilità sedimentaria ha importanti conseguenze di natura idrogeologica; gli intervalli sabbiosi rappresentano infatti dei serbatoi caratterizzati da spessori significativi (10 - 30 m), buona continuità laterale e valori dei parametri idrogeologici (porosità e permeabilità) favorevoli allo sfruttamento idrico, mentre i livelli argillosi garantiscono una sufficiente protezione e confinamento delle falde idriche presenti.
Il Gruppo Acquifero B è suddivisibile in due distinti cicli positivi (fining upward) di spessore pari a circa 20 m mentre nel ciclo inferiore prevalgono i litotipi sabbiosi, con sabbia grigia da fine a grossolana, raramente ciottolosa, massiva o laminata, in strati gradati da sottili a molto spessi.
Il ciclo superiore è caratterizzato da granulometrie più grossolane, con chiara prevalenza delle ghiaie, nelle aree più prossime alle aree alpine di alimentazione, e delle sabbie in quelle meridionali più distali.
Il limite di base del Gruppo Acquifero B coincide con una fase molto importante nell'evoluzione sedimentaria della pianura lombarda per quanto attiene a litologie, facies sedimentarie, ambienti e sistemi deposizionali e direzione degli apporti. Esso segna infatti il passaggio alla deposizione generalizzata di sedimenti grossolani, rappresentati da sabbie medio - grossolane, sabbie ciottolose e ghiaie a matrice sabbiosa.
L'ambiente di deposizione è esclusivamente continentale con sistemi deposizionali di piana alluvionale dominata da sistemi fluviali braided ad alta energia, caratterizzati da sedimenti sabbioso - ghiaiosi poco classati organizzati in strati molto spessi, per lo più amalgamati.
Il Gruppo Acquifero A presenta forti analogie con il sottostante Gruppo B in termini di litofacies, ambienti e sistemi deposizionali.
I depositi sono costituiti da ghiaie e ghiaie ciottolose poligeniche a matrice sabbiosa da media a molto grossolana; l'ambiente deposizionale è continentale e dominano, in particolare, le piane alluvionali con sistemi fluviali di tipo braided.
Ai fini della classificazione delle Unità idrogeologiche di Milano, si osserva che la classificazione della Regione Lombardia e di ENI del 2002 presenta indubbi vantaggi per il fatto di essere basata su un numero di dati molto maggior rispetto a quelle precedenti.

Analisi e commento della caratterizzazione degli acquiferi condotte in studi precedenti

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Il sottosuolo della pianura milanese è formato, come indicato in precedenza, da una successione di sedimenti plio-pleistocenici, costituiti nella parte basale prevalentemente da limi ed argille d’origine marina con rare sabbie e ghiaie, mentre nella parte sommitale si hanno alternanze di ghiaie, sabbie, limi ed argille di origine alluvionale e fluvioglaciale.

Unità idrogeologiche

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a. Unità argilloso-sabbiosa 
Questa Unità attribuita al Pleistocene inferiore (Martinis B. e Mazzarella S., 1971; Martinis B. e Robba E.3; Casati, 1986) si rinviene nei pozzi con profondità superiore ai 220-280 m nella media pianura e 130-180 m nell’alta pianura.
Si tratta prevalentemente di argille e limi di colore grigio cinereo con micro e macro fossili marini, ai quali sono subordinati livelli sabbiosi generalmente di modesto spessore.
I sedimenti della parte basale, riferiti al Pliocene – Pleistocene Inf. (Calabriano), sono rappresentati da limi e argille d’origine marina.
Dalla fine del Pleistocene Inferiore, a seguito di fasi neotettoniche legate allo spostamento verso NE dei fronti Appenninici (Regione Lombardia & ENI – Divisione AGIP, 2002) e del conseguente ritiro della linea costiera, si impostano condizioni di sedimentazione di tipo lagunare – deltizio caratterizzate da una successione di alternanze di depositi fini argilloso – limosi e più grossolani a tessitura sabbiosa.
l ritrovamento di macrofossili marini in numerose perforazioni condotte nella provincia di Milano ha permesso agli Autori di ricostruire con discreto dettaglio l’andamento del tetto dell’Unità argillosa in tutta l’area milanese, evidenziando una generale immersione dell’Unità verso Sud con inclinazione di 0.6-1.5 % ed un aumento di spessore procedendo da monte (circa 100 m nelle zone dell’alta pianura) verso valle (1000 m a Sud di Milano)4.

Unità sabbioso-argillosa (Pleistocene inferiore – Pliocene superiore, Unità C della classificazione regionale)
Questa Unità rappresenta una successione di sedimenti di origine continentale, i litotipi che caratterizzano tale Unità, spesso indicata in letteratura come “Argille Villafranchiane”, sono costituiti da argille e limi di colore grigio e talora giallo, con frequenti intercalazioni di livelli torbosi più o meno continui, e di orizzonti lenticolari a tessitura sabbiosa, più raramente, ghiaiosa; questi costituiscono i livelli acquiferi con falde confinate (“terzo acquifero” di Francani V. & Pozzi R., 1981).
Nordio E.5 suddivide la successione dei depositi Villafranchiani in un complesso inferiore, a carattere prevalentemente lacustre – palustre, e uno superiore di ambiente fluvio – lacustre. In linea generale si riscontra un aumento verso l’alto delle componenti granulometriche più grossolane e una contemporanea diminuzione degli spessori degli orizzonti prettamente argillosi. 
Sempre secondo Nordio E., la natura del passaggio tra questa Unità e quella inferiore testimonierebbe una graduale trasformazione delle condizioni di sedimentazione da marine a transizionali, fino a continentali. 
Si tratta di un’Unità formata in prevalenza da limi e limi argillosi di colore grigio meno frequentemente giallo con alternanze nella colorazione e presenza di torbe, a cui si interpongono lenti più o meno estese di sabbie, ghiaie e conglomerati che formano acquiferi con falde solitamente confinate. Sono depositi di tipo  lagunare e alluvionale originatisi a seguito della fase di regressione marina.
L’Unità nei suoi livelli superiori non contiene macrofossili mentre risultano abbondanti i resti vegetali e le torbe. Nella zona della media e bassa pianura è stata definita anche come litozona-sabbioso argillosa (Martinis B. e Mazzarella S., 1971). E’ identificata come “terzo acquifero” nella classificazione di Pozzi R. e Francani V. del 19856.
Il tetto di questa Unità ha un’inclinazione media verso Sud dello 0.5-0.8 % ed è caratterizzato da leggere ondulazioni solitamente di origine erosiva che vanno accentuandosi man mano che ci si avvicina alle aree pedemontane7.
Per questa ragione i limiti con l’Unità sovrastante nei settori dell’alta pianura, verso i confini settentrionali della Provincia, non sono facilmente riconoscibili per la maggiore abbondanza di materiali grossolani, tanto da non potere in alcuni casi, permettere una distinzione nella circolazione idrica delle due unità.
Le interpretazioni delle prove di pompaggio di pozzi, che captano le falde contenute nei livelli acquiferi dell'Unità in esame, indicano valori di trasmissività variabili da un minimo di 3 x 10-3 m2/s circa fino a un massimo di 1 x 10-2 m2/s.


b. Unità sabbioso - ghiaiosa (Pleistocene Medio), Unità B della classificazione ENI-Regione Lombardia
Si caratterizza per una successione di sedimenti sabbioso - ghiaiosi e sabbiosi, con frequenti intercalazioni lenticolari limoso - argillose.
Questi depositi, che costituiscono un sistema deposizionale fluviale (fluvioglaciale) tradizionalmente attribuito al Pleistocene Medio, nelle aree pedemontane e di alta pianura, affiorano in corrispondenza dei terrazzi morfologicamente più elevati, mentre più a Sud si immergono al di sotto dell'Unità ghiaioso - sabbiosa più recente, costituendo così la parte basale dell'acquifero tradizionale (“secondo acquifero” di Francani V. & Pozzi R.8 che fanno coincidere questa Unità con i fluvioglaciali Mindel e Riss).
Si segnala una progressiva diminuzione granulometrica procedendo da Nord a Sud, tanto che, nel settore meridionale della Provincia di Milano, si hanno caratteri litologici simili all'Unità sabbioso - argillosa di facies continentale .
All'altezza di Milano, il limite con quest'ultima Unità si colloca ad una profondità di circa 100 m.
La portata specifica si attesta su valori compresi tra 5 e 15  l/s m mentre la trasmissività è compresa tra 5 x 10-3 e  8 x 10-3 m2/s, anche se si possono avere valori più elevati in corrispondenza di paleoalvei  fluviali o notevolmente più bassi laddove prevalgono le granulometrie sabbiose.
Nel settore della media pianura, al tetto di questa Unità è presente un livello limoso - argilloso, con uno spessore medio di una decina di metri circa, la cui continuità laterale determina il carattere semiconfinato della falda contenuta nella Unità sabbioso - ghiaiosa.
Alla base dell’Unità sabbioso-ghiaiosa, non è infrequente trovare una serie di livelli a conglomerati e arenarie, che alcuni Autori tendono a distinguere come una vera e propria Unità idrogeologica, che si raccorda con gli affioramenti del Ceppo Lombardo.
Essa risulta costituita da depositi prevalentemente ghiaiosi e sabbiosi caratterizzati da vari gradi di cementazione; dove presente, il cemento è sempre di tipo calcareo.
Per la sua importanza idrogeologica, essa è stata distinta da Avanzini M. e altri9, nella classificazione già descritta.
Questa Unità è facilmente riconoscibile nel settore pedemontano e dell'alta pianura in corrispondenza dei primi 50 - 100 m di profondità, dove costituisce il primo acquifero.
Perde invece la sua connotazione stratigrafica nella zona di Milano dove una diminuzione del grado di cementazione impedisce di distinguerla dagli adiacenti depositi ghiaioso - sabbiosi sciolti.
I parametri idrogeologici e la potenzialità idrica di questi depositi possono variare notevolmente in funzione del grado di cementazione e di fratturazione; si registra un valore medio di portata specifica pari a 5 - 10 l/s•m mentre la trasmissività è compresa tra  5 x 10-3  e 1 x 10-2 m2/s.

c. Unità ghiaioso-sabbiosa (Pleistocene superiore e Olocene, Unità A della classificazione Eni-Regione Lombardia)
La litozona ghiaioso - sabbiosa, identificata per la prima volta da Martinis B. & Mazzarella S. (1971), si sviluppa dal piano campagna fino a una profondità di circa 40  m, è costituita da ghiaie e sabbie, talora cementate, con rare intercalazioni argillose, che vanno aumentando come continuità e spessore nella parte meridionale della città.
Essa corrisponde al fluvioglaciale Wurm (Diluvium recente Auct.) e all’Unità A della classificazione regionale.
Gli Autori successivi (Cavallin A. et al, 1983; Provincia di Milano, 1995), hanno identificato questa litozona con una successione caratterizzata dalla netta prevalenza di litotipi grossolani e dal limitato spessore e continuità laterale degli orizzonti a tessitura più fine.
L'ambiente deposizionale di questi sedimenti è del tutto analogo a quello dell'Unità ghiaioso - sabbiosa anche se cronologicamente correlabili con le ultime fasi dell'espansione glaciale quaternaria e con episodi alluvionali recenti e attuali.
Lo spessore saturo dei depositi dell'Unità ghiaioso - sabbiosa ("primo acquifero") è rilevante nella media e bassa pianura dove è contenuta la falda libera.
L'insieme degli acquiferi contenuti in questa Unità e in quella precedentemente descritta costituisce un successione di livelli permeabili che viene indicata come acquifero tradizionale.
Questa denominazione, rappresenta una semplificazione a volte eccessiva, in quanto a rigore sarebbe più corretto indicare questo sistema come multifalda; tuttavia agli effetti pratici, data la complessità geometrica dei vari livelli acquiferi, risulta conveniente trattare l'insieme come un unico monostrato acquifero.
Nell'area della media pianura i valori di trasmissività sono di circa 2 x 10-2 – 4 x 10-2 m2/s; questi si mantengono relativamente elevati anche procedendo verso i settori più meridionali della Provincia di Milano, nonostante una progressiva diminuzione della granulometria, dove si riscontra una trasmissività di 8 x 10-3 - 1 x 10-2 m2/s. 

Caratterizzazione idrogeologica degli acquiferi

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Ai fini della gestione delle acque sotterranee, appare della massima importanza la conservazione dello stato di equilibrio del bilancio idrico, in modo che possano essere evitati interventi gestionali capaci di alterarne la funzionalità.
Si nota infatti che la stessa delimitazione delle aree di salvaguardia dei pozzi può comportare scelte nella collocazione delle opere di estrazione che possono pesantemente influire sul bilancio idrico locale.
Alla base di una corretta gestione del bilancio, è l’identificazione di un modello concettuale della circolazione idrica sotterranea basato sui dati idrogeologici conosciuti, che restituisca con chiarezza la struttura idrogeologica.
Una descrizione di tale modello concettuale è stata sintetizzata in numerosi studi regionali, a partire da quello di Pozzi R. e Francani V10, e in quello di Avanzini M. e al.11 precedentemente descritti, e in altri lavori eseguiti dalla Provincia di Milano in collaborazione con il Politecnico , che hanno illustrato le modalità di circolazione e di alimentazione delle falde..
Alcune sezioni geologiche proposte illustrano la struttura dell’area studiata, permettendo di verificare le modalità di alimentazione e flusso delle acque sotterranee.

a. Alimentazione
Le acque si infiltrano nelle permeabili alluvioni del Pleistocene superiore e Olocene dell’alta pianura fra Adda e Ticino, in una “zona di ricarica degli acquiferi” che è oggetto di particolare attenzione da parte della Regione, in quanto la sua tutela garantisce la qualità delle acque sotterranee del Milanese. Questa “zona di ricarica” si estende dalle propaggini delle colline moreniche varesine fino a comprendere tutta l’alta pianura fino a Legnano e Busto Arsizio. Ne sono esclusi i terrazzi fluvioglaciali mindeliani e rissani Auct, ricoperti da una coltre argilloso-limosa molto spessa che impedisce la ricarica degli acquiferi. Nella zona di ricarica degli acquiferi, il primo livello argilloso di separazione fra il primo acquifero e quelli più profondi, si trova generalmente a profondità compresa  fra i 25 e i 40 m. Le acque di infiltrazione, provenienti anche dal Canale Villoresi e dalle acque di scorrimento superficiale  provenienti dai terrazzi fluvioglaciali pleistocenici dianzi menzionati, possono quindi pervadere il primo acquifero e da questo trasferirsi a quelli inferiori.

b. Zona di deflusso
Le acque di infiltrazione si distribuiscono negli acquiferi del Milanese seguendo i corpi idrici di maggiore trasmissività,  fra i quali soprattutto i paleoalvei dei fiumi Olona, Lambro e Seveso, che penetrano profondamente all’interno della città costruendo le vie preferenziali di alimentazione; rimangono quindi meno favorite dall’alimentazione le zone in cui i terrazzi fluvioglaciali di Garbagnate e Monza , costituiti dall’Unità B della classificazione regionale, sono più vicini alla superficie ( direttrici V.le Espinasse – P.za Napoli e Riguarda-Porta Comasina), dove la resa dei pozzi è in effetti complessivamente minore.
Le sezioni idrogeologiche  mostrano come si venga a delineare, in senso East-Ovest, una dorsale dell’Unità C, che dal F.Lambro si spinge fino al F.Adda all’altezza di Monza.. Questa dorsale è determinata da un sollevamento dei depositi del Pleistocene medio ed inferiore che, anche senza raggiungere il centinaio di metri, risulta peraltro sensibilmente apprezzabile; ad esempio, si osserva che il tetto dell’Unità sabbioso-argillosa, arriva fino a poche decine di metri dalla superficie già a Nord del territorio comunale. Questa struttura, rallentando il flusso idrico verso valle con terreni di minore trasmissività, determina un certo  impoverimento delle portate di falda fra Monza e il F.Adda e riduce gli afflussi verso Milano.
Gli effetti di tale dorsale sulle caratteristiche idrogeologiche dell’area si manifestano in una cospicua riduzione di spessore e di estensione dei depositi più permeabili e trasmissivi, che nella parte centroccidentale della provincia ospitano le maggiori disponibilità idriche. 
Questi terreni sono infatti sostituiti lateralmente, verso oriente, da depositi di minore trasmissività, di età più antica (Pleistocene medio).
La separazione tra l’acquifero freatico e quello semiconfinato comincia a delinearsi al di sotto della città di Milano, dove livelli limoso-argillosi fra i 60 e 80 m di profondità rendono più accentuata la separazione fra Unità B e A. Dalle sezioni condotte da N a S, si osserva come tale distinzione si accentui procedendo verso Sud, quindi verso la parte meridionale del comune di Milano e della Provincia, per l’aumento di spessore e di continuità dei livelli poco permeabili.
Agli effetti della qualità delle acque, questo stato di fatto determina drastiche variazioni del chimismo della falda, o comunque differenze di concentrazione paragonabili a quelle che si hanno al passaggio fra l’acquifero B e l’acquifero C della classificazione della Regione
L’esame delle sezioni geologiche eseguite in occasione dei precedenti studi consente di ricostruire l’assetto idrogeologico dell’area metropolitana.
In sintesi si osserva:

  • una netta distinzione in più settori a carattere idrogeologico marcatamente differente: il settore della pianura wurmiana, immediatamente a Nord del comune di Milano, fra Parabiago e Garbagnate; il settore del terrazzo di Garbagnate; quello dei depositi alluvionali del fiume Lambro e del torrente Seveso; il terrazzo di Vimercate-Roncello, risultante dalla presenza della dorsale settentrionale ricordata in precedenza;
  • la buona continuità laterale dell’acquifero freatico, che peraltro risulta contenuto in terreni a permeabilità e trasmissività differente;
  • la rilevante eterogeneità dell’acquifero semiconfinato;
  • l’intercomunicazione verticale fra i due acquiferi, che non sono mai nettamente separati da un aquiclude.

Distribuzione dei valori di trasmissività

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Per il calcolo dei valori di trasmissività sono stati utilizzati i dati riportati nelle stratigrafie dei pozzi.
Il valore del gradiente idraulico è basato sul valore medio rilevato, nell’area circostante ogni singolo pozzo, attraverso le campagne piezometriche condotte tra il 1996 e il 1998 dove  il diametro del pozzo utilizzato corrisponde al valore medio dei tratti con presenza di filtri.
Nella scelta dei pozzi da utilizzarsi per queste operazioni si è fatta attenzione a selezionare esclusivamente quelli non multifalda: attraverso le sezioni stratigrafiche veniva controllato che i filtri del pozzo considerato cadessero all’interno di un solo acquifero; in questo modo è stato possibile ottenere valori di trasmissività dei singoli corpi idrici principali.
Per il calcolo dei valori di trasmissività si è fatto ricorso anche ad alcuni valori desunti da prove di pompaggio condotte da privati e da Autori precedenti.
Per una prima indicazione, si riportano i valori medi per acquifero, suddivisi in tre zone (settentrionale, centrale e meridionale); in questa suddivisione, la zona centrale corrisponde alla fascia dei fontanili. Si avrà modo successivamente di rilevare che in realtà i valori della trasmissività, nei diversi punti dell’area di indagine, variano in modo più marcato.

Gli acquiferi A e B

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Nell’area d’indagine è presente un numero elevato di pozzi pubblici a servizio dell’acquedotto con profondità superiore ai 70 m, che prelevano acque sia da A sia da B, è stato possibile calcolare numerosi valori di trasmissività, ottenendo una carta d’interpolazione che soddisfacesse le necessità di una modellazione matematica del flusso idrico sotterraneo.
I valori variano nell’area Milanese in un intorno di 2x10-2 m2/s. 
I valori di trasmissività decrescono in senso N-S, e questo trend è tutt’altro che regolare e a piccola scala sono individuabili diverse eccezioni che nei casi isolati possono essere imputate a particolari condizioni di efficienza del pozzo o a errori nelle prova di collaudo.

L’acquifero C

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Il numero di dati che è stato possibile raccogliere per l’acquifero C è notevolemte ridotto rispetto a quelli riguardanti l’acquifero TR: raramente i pozzi a disposizione presentavano filtri esclusivamente in questo corpo idrico. Sono stati così ottenuti 29 dati che a seconda dei casi riguardano esclusivamente i corpi idrici C1/C2, C3/C4 o l’acquifero C nel suo complesso. 
In quest’ultimo caso dal valore di trasmissività è stata ricavata la permeabilità in funzione dello spessore complessivo dell’acquifero C, e da questa poi il presunto valore di trasmissività
Si può notare come generalmente la trasmissività dei livelli permeabili in questo corpo idrico sia fortemente influenzata dalla qualità del dato a disposizione. Nella parte più superficiale dell’acquifero C la trasmissività media è pari a 1,1x10-2 m2/s contro la media di 8x10-3 m2/s riscontrati nella parte basale.
Si tratta di una differenza imputabile allo spessore delle sabbie che costituiscono i livelli permeabili rispetto a quelli sottostanti (Avanzini M., op.ct., 1995).

Analisi conclusive sull’assetto della struttura idrogeologica

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Tra le diverse osservazioni che si possono fare  esaminando le sezioni geologiche si nota come le aree favorevoli allo sfruttamento delle riserve idriche siano di rilevante estensione (almeno due terzi della città).
I prelievi sono ormai di una tale entità che non esistono ulteriori risorse sfruttabili: quelle esistenti si concentrano negli orizzonti più permeabili del settore centro-orientale (limitati nell’area Parco Sempione-Duomo, da un potente banco sabbioso che sostituisce le ghiaie del primo acquifero) e settentrionale.
In questi due settori, infatti, gli acquiferi hanno la migliore resa con il minimo abbassamento, inducendo in passato alla costruzione di impianti a grande diametro (pozzi radiali) lungo la fascia orientale della città.
Nel settore occidentale, nel primo acquifero si interpongono frequenti lenti di argilla di scarsa continuità ma di elevato spessore complessivo (fino a 30 m nell’impianto di piazza Accursio, che raggiunge solo 100 m di profondità), riducendo molto la resa dei pozzi. In conclusione, possiamo restringere l’area più valida per ulteriori prospezioni alla periferia Nord della città e alla periferia orientale, fra circonvallazione esterna e tangenziale Est (inquinamenti a parte).
Appare evidente che gli acquiferi di Milano sfruttabili ai fini acquedottistici (in sintesi: la parte inferiore dell’acquifero A e l’acquifero B, parte dell’acquifero C) hanno esaurito le loro possibilità di sfruttamento per molti fattori (eccesso di prelievi, inquinamenti): è necessario predisporre studi atti ad individuare la zona destinata ai prelievi.
In effetti il solo Acquedotto civico estrae, da una superficie di soli 100 km2, e da acquiferi di soli 50 metri di spessore in media, come evidenziato dalle sezioni , con una porosità efficace del 15 %  circa, oltre 300 milioni di m3/s, pari a 11 m3/s.
Tale cifra aumenta di almeno un terzo considerando industrie e privati, arrivando a poco meno di  15 m3/s nel solo comune di Milano.
Vengono qui di seguito riportate, ad illustrazione ecompletamento di quanto detto sopra, alcune sezioni idrogeologiche pubblicate dalla Provincia di Milano relative al territorio del Comune di Milano (Figura 2÷ Figura 7).

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Figura 2: Ubicazione delle sezioni rappresentative dell’acquifero milanese.

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Le sezioni rappresentative degli acquiferi sopra descritti sono riportate nelle figure seguenti (Figure 3 ÷ 7).

1 R. Pozzi, V. Francani, Modalità di alimentazione dell’acquifero milanese, Le strade, Ed. La Fiaccola, 1985

2 M. Avanzini, G.P. Beretta, V. Francani, M. Nespoli, Indagine peliminare sull’uso sostenibile delle falde profonde nella Provincia di Milano, CAP Milano, 1995

3 B. Martinis B., E. Robba E., Contributo alla stratigrafia dei depositi quaternari del sottosuolo di Milano, Rivista italiana di paleontologia, 1978

4 M. Avanzini, G.P. Beretta, V. Francani, M. Nespoli, Indagine preliminare sull’uso sostenibile delle falde profonde nella Provincia di Milano, CAP Milano, 1995

5 E. Nordio E., Il sottosuolo di Milano, Comune di Milano, Servizio Acqua Potabile, 1957

6 R. Pozzi, V. Francani, Modalità di alimentazione dell’acquifero milanese, Le strade, Ed. La Fiaccola, 1985

7 M. Avanzini, G.P. Beretta, V. Francani, M. Nespoli, Indagine preliminare sull’uso sostenibile delle falde profonde nella Provincia di Milano, CAP Milano, 1995

8 R. Pozzi, V. Francani, Modalità di alimentazione dell’acquifero milanese, Le strade, Ed. La Fiaccola, 1985

9 M. Avanzini, G.P. Beretta, V. Francani, M. Nespoli, Indagine preliminare sull’uso sostenibile delle falde profonde nella Provincia di Milano, CAP Milano, 1995

10 R. Pozzi, V. Francani, Modalità di alimentazione dell’acquifero milanese, Le strade, Ed. La Fiaccola, 1985

11 M. Avanzini, G.P. Beretta, V. Francani, M. Nespoli, Indagine preliminare sull’uso sostenibile delle falde profonde nella Provincia di Milano, CAP Milano, 1995