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L’eccessivo livello di antropizzazione ha provocato un impoverimento dal punto di vista ecologico delle aree naturali e paranaturali e un aumento della loro frammentazione, pregiudicando la continuità della rete ecologica urbana e inducendo un precario equilibrio degli habitat cittadini. 
L’aumento della frammentazione, causata dall’incremento dell’urbanizzazione e dalla presenza di infrastrutture, ha infatti sfavorito gli interscambi tra le popolazioni autoctone e ha al contempo determinato un’incessante diffusione di specie alloctone invasive. Obiettivo della pianificazione territoriale dovrebbe dunque essere anche un ripristino delle condizioni originarie degli ecosistemi mediante la creazione di aree naturali (o paranaturali) che possano incentivare la biodiversità e favorire lo sviluppo della flora e della fauna locale.
A Milano l’ecosistema principale è composto da aree paranaturali (aree verdi artificiali) poco connesse, i cui elementi più rilevanti sono il Parco Agricolo Sud Milano e il Parco Nord. Le aree paranaturali, pur avendo un minor pregio dal punto di vista naturalistico, possono svolgere un ruolo importante come collegamento tra le diverse aree naturali. Le zone più ricche di unità ecosistemiche sono quelle situate nella parte meridionale della città che formano una “cintura verde”. La maggior industrializzazione della parte settentrionale ha invece determinato una situazione discontinua e disomogenea formando una struttura “a isole” scarsamente connesse tra loro.
Nel centro storico le aree paranaturali sono meglio strutturate sebbene di minore estensione: i giardini privati e pubblici garantiscono una buona connessione con le unità ecosistemiche più importanti come i parchi storici del Sempione, delle Basiliche ed il Parco Solari.

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Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha modificato i concetti di base su cui era fondata la politica di conservazione della natura dimostrando che, nonostante l’aumento delle aree protette, si assiste ad una progressiva diminuzione della diversità ecologica al loro interno. Si è dimostrato, infatti, che un insieme di aree protette inserite in aree urbanizzate non garantisce in automatico un alto livello di conservazione dell’ecosistema. Nasce, dunque, la necessità di costruire una rete ecologica che interessi tutta la città di Milano, elemento fondamentale per il mantenimento della residua biodiversità minacciata dalla progressiva frammentazione degli ecosistemi. Per maggiori approfondimenti a riguardo si rimanda al paragrafo 3.1.4 nella parte dedicata alla Rete Ecologica Comunale.

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Allo stato attuale non esiste uno studio completo sulla biodiversità nel Comune di Milano; tuttavia l’integrazione di vari dati e studi settoriali ha portato alla stesura di due differenti elenchi distinti per la flora e la fauna locale. 
Nel territorio milanese sono presenti circa 69 specie di piante autoctone ed alloctone concentrate prevalentemente nelle aree verdi che, insieme alle aree incolte e dimesse ed ai giardini privati, costituiscono gli spazi ideali per l’insediamento di specie vegetali. L’esistenza di queste aree permette inoltre l’insediamento di specie animali in grado di sfruttare la vicinanza dell’uomo e di sopravvivere anche in presenza di forti fattori di pressione antropica.
Il livello di biodiversità di Milano è tipico di una realtà urbana, caratterizzato, cioè, da un equilibrio precario a causa dei fattori antropici e della scomparsa di particolari elementi legati all’habitat naturale ed è contraddistinto da una distribuzione delle specie prevalentemente nei parchi e nelle zone periferiche della città, dove la vicinanza al margine urbano e alla campagna favorisce gli spostamenti dei vertebrati.
Molti sono i progetti già attivati all’interno dei parchi per ricostruire gli habitat originari: le reintroduzioni faunistiche di alcune specie come la Rana di Lataste, il Gambero Dolce e la Testuggine Palustre, specie la cui presenza era stata documentata in un recente passato, contribuiscono a coniugare l’intento di un complesso progetto di ripristino ecologico con la necessità di aumentare la biodiversità. La scelta delle specie da reintrodurre deve tenere sempre in considerazione le potenzialità all’interno del quale si opera: la scarsità di spazi naturali e le dimensioni ridotte hanno, infatti, fortemente limitato la tipologia delle specie da poter reinserire, favorendo in tal senso la reintroduzione della cosiddetta fauna minore ed in particolar modo delle specie che vivono in ambienti acquatici di cui il territorio è particolarmente ricco.

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Come riportato all’interno della pubblicazione “Milano selvatica” a cura della LIPU, nell’ambito dell’ecologia urbana si parla spesso di inurbamento attivo: con questa terminologia viene inteso il fenomeno per cui sono gli stessi animali selvatici a scegliere di occupare le “nicchie” messe a disposizione nel cosiddetto “ecomosaico” urbano fatto di strade, case e giardini di città, luoghi ideali da “colonizzare” per il fatto che: 

  • è possibile sfruttare le opportunità offerte dagli avanzi di cibo dell’uomo (soprattutto per specie “opportuniste” come ratti, colombe, tortore, passeri, ecc.);
  • la città presenta habitat ideali per gli animali rupicoli quali torri, campanili e grattacieli, sostituti di habitat nidificatori come le rocce più scoscese;
  • oggi, soprattutto per molte specie di insetti, le città rappresentano habitat più appetibili delle campagne in quanto meno irrorate da pesticidi; viceversa la presenza degli insetti è alla base della catena alimentare di ricci, rondini e pipistrelli;
  • per molte specie la città, in termini di predazione, risulta più sicura di boschi e montagne, anche per l’assenza della stagione venatoria.

Il fenomeno riguarda soprattutto gli uccelli che, grazie al volo, riescono ad adattarsi e a vivere in un ambiente che, di fatto, si rivela ricco di ostacoli e barriere.
L’inurbamento passivo avviene invece quando gli animali non si trasferiscono in città per loro scelta, ma vi sono costretti dato che vedono il loro habitat naturale inglobato dalla crescente urbanizzazione, come nel caso dell’Averla piccola, poiché siepi, campagne ed aree incolte vengono rapidamente assorbite dall’avanzare del tessuto urbano.

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All’interno della città di Milano persistono tre tipologie ambientali caratterizzate da una varietà di habitat sufficiente per soddisfare le esigenze di parecchie specie selvatiche in uno stretto ambito territoriale:

  • gli ambienti umidi: laghi e stagni, le acque correnti di canali, fiumi, rogge e torrenti. Il riferimento va soprattutto al Parco delle Cave, caratterizzato dalla presenza di quattro laghi derivati dalla precedente attività estrattiva di sabbia e ghiaia successivamente rinaturalizzati (presenti Airone Cinerino, Germano reale, Garzetta, Tuffetto, Svasso maggiore, Cormorano, Folaga, Gallinella d’acqua, Gabbiano comune, Airone rosso, Martin pescatore, Tarabusino, Usignolo di Fiume e Migliarino di palude). Parimenti si ricordano il laghetto Salesina, all’interno del Parco Forlanini, ed il Parco Nord. Oltre che per l’avifauna, questi ambienti sono adatti anche per la vita degli anfibi, come la Rana verde (presente anche in Darsena e nei pressi del Naviglio Grande) o il Rospo Smeraldino, anche se recentemente queste specie risultano minacciate dall’introduzione di specie esotiche come le testuggini di origine americane o i pesci rossi. Per quanto concerne le acque correnti di Seveso, Olona, Lambro, ma anche delle rogge e dei canali, i problemi più sentiti sono la cementificazione delle sponde, la copertura degli invasi e la scadente qualità della risorsa, che impediscono ai corsi idrici di svolgere la propria funzione di corridoi ecologici, anche primari;
  • il sistema del verde: il primo esempio italiano di riforestazione urbana, il Bosco in Città, così come il Parco delle Cave e il Parco di Trenno, presentano ampie formazioni arboree, prati, radure, orti, oltre a rogge e stagni. In tale sistema trovano habitat la fauna tipica degli ambienti forestali, come il Picchio verde, il Picchio rosso maggiore, il Cuculo e passeriformi come la Capinera, il Fringuello, la Cinciallegra, il Merlo ed il Pettirosso, uccelli montani come il Codirosso spazzacamino e il Codibugnolo oltre a mammiferi come Riccio e Donnola. Specie legate alla presenza di aree boschive si incontrano anche al Parco Nord e al Parco Forlanini, ma anche più in centro, al Parco Sempione e ai Giardini di Corso Venezia, o nei giardini privati, se adeguatamente attrezzati; si ricordano inoltre i Gufi comuni delle conifere di Via Val di Sole, che hanno scelto il proprio habitat a ridosso dei caseggiati, dove la temperatura è meno rigida rispetto all’aperta campagna;
  • la presenza di edifici: solai, monumenti, campanili, torri e mura dei castelli, ecc. sostituiscono gli habitat naturali per specie come Rondoni, Taccole, Falchi, Civette ed Allocchi; gli edifici storici sono quindi ideali sia per altezza sia perchè sono ricchi di fessure ed anfratti, che si rivelano luoghi stabili e riparati per allevare la prole. Anche le case meno antiche, se dotate di fessure, tegole, buchi nei muri o simili offrono riparo adeguato ai nidi di specie come Cinciallegra, Cinciarella e Pigliamosche, mentre Rondini e Passeri prediligono cascine, stalle e fienili, travi sporgenti, porticati e grondaie. In questi casi le minacce di distruzioni degli habitat cittadini provengono dalle ristrutturazioni e dai restauri che finiscono per eliminare tali spazi vitali. Tra i casi più conosciuti di “colonizzazione” di edifici si ricorda, la Tortora dal collare (che nidifica su alberi ornamentali e si posa su antenne o cavi elettrici), le Cornacchie grigie (che beccano la propria immagine riflessa sui vetri delle finestre) ed il Pipistrello albolimbato (che trova rifugio nei cassonetti delle tapparelle). Famosi a Milano sono i casi delle Civette del Castello Sforzesco, del Gheppio che nidifica sull’edificio della Stazione Centrale, della coppia di Falchi pellegrini sul Grattacielo Pirelli, di Gheppi e Rondoni maggiori dello Stadio Meazza, del Rondone pallido dell’edificio scolastico nella zona della Stazione Centrale.